Gabetti: smart working e nuove esigenze abitative

Come il lavoro agile impatterà su abitazione, mercato residenziale e stili di vita

- il 43% degli intervistati lavora in soggiorno, il 15% in camera da letto e solo il
22% dispone di una stanza-studio;
- il 26% prevede di acquistare, o ha già acquistato, una casa più grande; il 24%
prevede di apportare delle modifiche a quella attuale;
- il 21% prevede di trasferirsi al sud (south working) e l’8% in un altro comune o
in un’altra regione.

Complice l’emergenza sanitaria da Covid-19, lo smart working è entrato appieno nelle
nostre vite ed è destinato a restare. Come impatterà sul nostro stile di vita, sui nostri ritmi e sulle nostre esigenze abitative? Attraverso una survey quali – quantitativa a cui hanno
preso parte più di 300 lavoratori, il nuovo report redatto dall’Ufficio Studi Gabetti dal titolo
Smart working e nuove esigenze abitative” è finalizzato a comprendere le dinamiche in
atto, con l’obiettivo di delineare come stanno cambiando questi bisogni e come possono
impattare sul settore immobiliare.

A livello di location, oltre l’80% di coloro che svolgono smart working, utilizza la dimora
abituale, mentre il 10% la seconda casa. Dall’analisi dei risultati è inoltre emerso che solo il 22% dispone di una vera e propria stanza studio, mentre il 43% ha risposto di
lavorare in soggiorno e circa il 15% in camera da letto. Il 9% ha invece dichiarato di
lavorare in cucina, mentre la restante parte in modo indifferente tra i vari ambienti
dell’abitazione, alcuni dei quali assumono le forme di una stanza multifunzionale.

Il fatto che il 43% degli smart worker intervistati lavori in soggiorno è indicativo di due
esigenze abitative: da un lato la mancanza di un vano in più che costringe i lavoratori alla
configurazione di una postazione di lavoro nel soggiorno, dall’altro la multifunzionalità della living room durante l’arco della giornata
– dichiara Francesca Fantuzzi, Responsabile
Ufficio Studi Gabetti -. Questo potrebbe influire su una maggiore richiesta di abitazioni
dotate di un soggiorno di metrature considerevoli, caratteristica sempre più ricercata
soprattutto in mancanza del vano in più. Di contro, avere una stanza dedicata al lavoro
rimane in cima alle caratteristiche abitative più ricercate
”.

Da evidenziare anche la postazione di lavoro in camera da letto che è adottata dal 15%
del campione. Si tratta di una tendenza che si riscontra ormai di frequente tra i lavoratori da remoto in quanto, grazie all’utilizzo di scrivanie mobili pieghevoli al muro, una camera da letto di discrete dimensioni può ospitare una postazione ufficio, diventando a tutti gli effetti un ambiente multifunzionale.

Ma come potrebbe lo smart working cambiare le esigenze abitative in futuro? Il dato di
sintesi dell’insieme delle risposte ha permesso di osservare gli impatti dello smart working
sul modello abitativo dei rispondenti, considerando oltre alle esigenze interne all’abitazione anche quelle relative al contesto, al budget economico, alle prospettive di vita.

La prima indicazione che emerge dall’analisi dei risultati è che 1 su 4 ha risposto di avere
l’intenzione di comprare, o di avere già comprato, una casa di dimensioni più grandi
a causa del lavoro da remoto, che richiede uno spazio dedicato. Tale tendenza risulta
ancora più evidente nei comuni non capoluogo, dove la percentuale sale al 30%.
In linea con questa tendenza, la seconda indicazione emersa è che circa il 24% dei
rispondenti ha effettuato, o effettuerà, modifiche interne all’abitazione in termini sia di
una diversa organizzazione interna degli spazi, sia di arredamento. Un’esigenza soprattutto di chi ha sufficiente spazio per lo smart working – anche se si è in due a dover lavorare da casa – ma non ha trovato la giusta razionalizzazione degli spazi per la realizzazione delle postazioni ufficio.

Per i molti lavoratori che hanno sperimentato il lavoro da remoto full time e ai quali l’azienda ha comunicato di volerlo mantenere anche dopo la pandemia, l’impatto sul modello abitativo ha una dimensione rilevante: il 21% del campione ha infatti risposto che lo smart working ha comportato, o comporterà, un trasferimento nel comune di origine,
prevalentemente nel centro e nel sud Italia (south working). In questo contesto il dato è
più significativo per i residenti nei comuni capoluogo (28%) e in particolare nelle grandi città (30%), rispetto ai residenti nei non capoluoghi dove rappresenta solo il 9% dei casi.

Tra le ragioni di questa scelta radicale, il 33% lo ha fatto (o lo farà) per avvicinarsi ai propri
cari, il 22% perché lo ritiene un ambiente ideale dove far crescere i propri figli, il 21%
per il minor costo della vita e il 14% perché già proprietario di un’abitazione.

“È ancora presto per dire quali saranno le conseguenze del south working sulle esigenze
abitative, perché non si ha ancora piena conoscenza dell’entità del fenomeno, ma quasi
certamente a essere richieste saranno abitazioni mediamente più ampie rispetto a quelle
del nord, dotate di spazio esterno (terrazzo o giardino) e maggiormente localizzate lungo le aree costiere” precisa Fantuzzi.

Oltre al trasferimento nel proprio comune di origine, l’8% del campione ha risposto che si
è già trasferito, o si trasferirà, in un comune della stessa regione o in una regione
limitrofa a quella dove ha sede il lavoro. Questa scelta, soprattutto effettuata da coloro
che raggiungono l’ufficio soltanto alcune volte al mese, è principalmente legata (40%) al
fatto di voler vivere in un posto più a contatto con la natura, ma allo stesso tempo
raggiungibile dall’ufficio in un paio d’ore. In coerenza con questa ragione, il 13% del
campione lo ha fatto anche perché stanco della vita frenetica della città, mentre l’altro 13% perché crede sia un ambiente ideale dove far crescere i figli.

Tra gli altri effetti del lavoro da remoto sul modello abitativo, che hanno avuto un
peso minore, si segnalano:
• l’affitto di una nuova abitazione (3% del campione), una scelta per coloro che hanno
necessità di un’abitazione più grande ma non hanno intenzione, o possibilità, di acquistarne una nuova;
• l’acquisto di una seconda casa che è pesato per il 3% del campione (il 5% nei capoluoghi
e l’1% nei non capoluoghi);
• il trasferimento in un comune dell’hinterland metropolitano (3%) legato principalmente ai minori costi dell’abitazione, soprattutto per le famiglie che vivono in città in cui i valori di mercato sono abbastanza elevati;
• il trasferimento in un altro quartiere (1%), una scelta che caratterizza le giovani famiglie
nel voler avvicinarsi alla casa dei genitori o può riguardare chi si sposta da aree centrali a
periferiche alla ricerca di spazi più ampi a costi più contenuti.

CONCLUSIONI: SMART WORKING E POSSIBILI IMPATTI SUL MERCATO RESIDENZIALE
I risultati della ricerca hanno mostrato come una delle conseguenze della pandemia e del
maggiore ricorso allo smart working sia stata l’emergere di una nuova esigenza abitativa
che sta inducendo molte persone e famiglie a ripensare gli spazi della casa.

In generale – precisa Fantuzzi – il lavoro da remoto alternato all’ufficio sembrerebbe
diventare la modalità più diffusa per gran parte delle società, con la conseguente e
crescente esigenza di disporre in casa di una stanza in più o di uno spazio dedicato alla
propria attività, determinando l’opportunità di trasferirsi in altre località, anche di tornare
nella propria città d’origine. L’impatto diretto dello smart working sui bisogni abitativi è dimostrato dal fatto che quasi 9 smart worker su 10 hanno dichiarato di avere cambiato, o
avere in programma di modificare, la propria situazione abitativa
. Se una parte, il 24%, si
potrà organizzare effettuando migliorie interne alla propria abitazione, anche con iniziative di ristrutturazione grazie agli incentivi fiscali, la restante parte si orienterà verso l’acquisto o l’affitto di una nuova abitazione di dimensioni più ampie o con spazi meglio distribuiti
”.

Per chi risiede in un’abitazione in affitto, di metrature ridotte, o in condivisione con altri
lavoratori, lo smart working potrebbe indurre all’acquisto di una prima abitazione, oppure
nella ricerca di nuove soluzioni alternative, come le strutture di co-living che forniscono
una serie di servizi inclusi nel canone di affitto (per esempio il servizio di concierge, rete
wifi, spazi di co-working). Chi invece è già proprietario di un’abitazione che non offre però
spazi adeguati alla nuova modalità di lavoro, potrebbe valutare un acquisto di sostituzione.

Nell’ambito della ricerca risulta invece minoritaria la tendenza che spinge gli smart worker a spostarsi dalle grandi città verso l’hinterland. Anche il trasferimento in un altro quartiere della stessa città è un fenomeno che appare residuale nell’ambito dell’indagine. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che chi vive in un quartiere per un periodo
sufficientemente lungo, tale da determinare un radicamento territoriale, preferisce cambiare l’abitazione all’interno dello stesso quartiere o, in alternativa, tornare alle proprie origini.

Le prospettive di chi cerca casa vanno tuttavia confrontate con la situazione concreta del
mercato, che nel 2020 è stato caratterizzato da un calo fisiologico delle compravendite su
scala nazionale a seguito dell’emergenza Covid (-7,7%).

In linea con quanto emerso nel 2020, in termini di compravendite di abitazioni, i comuni
non capoluogo hanno visto una flessione più ridotta (-5,7%), con un tasso di crescita
positivo nel terzo (+8%) e nel quarto trimestre (+11,8%), rispetto ai capoluoghi e soprattutto alle grandi città, che stanno avendo una ripresa più lenta.

Nell’ambito delle grandi città, dobbiamo fare dei distinguo rispetto all’andamento di prezzi e transazioni e alle opportunità che potrebbero scaturire a seguito dei nuovi trend generati dalla diffusione dello smart working in forma alternata con l’attività in ufficio.

PRINCIPALI CITTÀ E TREND EMERGENTI LEGATO ALLO SMART WORKING

Dove i valori di mercato si presentano più alti rispetto alla media nazionale (soprattutto
Milano e Roma) e, in particolare, dove si amplia il divario tra aspettative dei proprietari e
disponibilità degli acquirenti, a seguito di un progressivo aumento dei prezzi (come a
Milano, +1,8% nel 2020), le nuove esigenze abitative in termini di spazi più ampi potrebbero indurre a uscire dalla città per trovare una soluzione in linea con il budget familiare.

A beneficiarne, come si è visto, sono innanzitutto i capoluoghi secondari e i piccoli comuni non legati alle metropoli, mentre l’hinterland ha rilevato il 5% delle preferenze nell’ambito di coloro che risiedono nelle grandi città, percentuale che sale all’8% nel caso di Milano, a pari merito con il trasferimento in un comune della stessa regione. Questo significa che, principalmente in una città come Milano, il trasferimento nell’hinterland può essere un buon compromesso tra raggiungimento del minor costo della vita, vicinanza con la città e soddisfacimento delle nuove esigenze abitative.

Diversamente, nelle grandi città in cui i valori di mercato sono più contenuti e in
diminuzione (come Torino e Genova), le caratteristiche della domanda sembrano avere un
impatto diverso in termini di scelta localizzativa dell’abitazione. In questi contesti, le
abitazioni dei quartieri periferici, potrebbero essere oggetto di attenzione da parte di chi necessita di sostituire l’abitazione con una più ampia, così come le zone semicentrali,
rese più accessibili dalla diminuzione dei prezzi.

Report completo scaricabile al link:
http://www.gabettigroup.com/it-it/ufficio-studi/dettaglio-tutti-i-report/artmid/1106/articleid/2182/smart-
working-e-nuove-esigenze-abitative